di Andrea Sardi
(*in foto il Bandoneòn tipico strumento Sud America)
“Vuoi scrivere di tango?” mi chiede Tiziana.
“E’ come se tu mi chiedessi di parlare del mare”, penso.
Poi lei aggiunge: “Questo mese il nostro giornale si dedica al tema dell’Amore.
Allora risuona dentro di me “Qué me van a hablar de amor”, un Tango scritto da un grande poeta, Homero Expósito (1918 – 1987) e musicato da un altrettanto famoso compositore e pianista, Héctor Stamponi “Chupita” (1916 – 1997). Lo sento cantato da Julio Sosa “El varon del tango”.
L’uomo che parla racconta di essere caduto molte volte, ma d’aver compreso come nella vita si debba rischiare per non essere schiavi delle proprie paure (“[…] por que ya comprendo que en la vida se cuidan los zapatos andando de rodillas […]”: “perché comprendo che nella vita si risparmino le scarpe camminando in ginocchio”). Sì, è caduto mille volte, ma non s’è arreso. Sì, anche l’ultimo amore è finito […] Eran sus ojos de cielo el ancla más linda que ataba mis sueños; era mi amor, pero un día se fue de mis cosas y entró a ser recuerdo […]”: “Erano i suoi occhi di cielo l’ancora più dolce a cui si aggrappavano i miei sogni; era il mio amore, ma un giorno fuggi della mia vita e diventò un ricordo”).
Queste parole evocano un fugace ma intenso ricordo personale. “C’è sempre l’ombra di un vissuto personale nelle letras di tango”, penso.
Si, quest’uomo ha sbagliato eppure dice in chiaro: “Sono sempre stato innamorato, cosa vuoi insegnarmi dell’amore!” e alla fine aggiunge: “[…] Y ahora, que estoy viviendo en otra aurora no me expliquen el amor que aunque tenga que aprender nadie sabe más que yo […]”: “E adesso, che sto vivendo in un’altra alba non cercare di spiegarmi l’amore, che anche se devo ancora imparare nessuno ne sa più di me”.
Già. Chi può darci una lezione sull’amore, dirci cosa sia quest’esperienza così intima e soggettiva? Puoi tu che leggi? Ti immagino, davanti a me, tra noi una bottiglia di vino e due bicchieri, a raccontarci della nostra vita, dei nostri sogni delle nostre illusioni, condividendo quel che è un tango. Sì, perché “[…] il tango è una storia, ogni frase è un ricordo,ogni parte è una parte di vita con un dolore nascosto; e tutto il tango è la nostra esistenza. Emozione che si strugge, nella voce del bandoneon. Il tango è sempre una storia, che ha in tutte le sue pagine, le parole dettate dal cuore […]”. (“Il tango es una historia”, testo di Reinaldo Yiso, musica di Roberto Chanel, 1944).
Non si può ballare, di questi tempi, e c’è chi dice “mi manca il tango”. A me non manca il tango: lo vivo ogni giorno, in ogni momento. Mi manca condividere questa storia davanti ad un bicchiere di vino, come adesso con te. O come potremmo d’un tratto fare, solo ballando, senza aggiungere altre parole, per adesso. Solo condividendo, anche per poco, questa nostra storia.
Dimmi, dunque, cosa è per te l’amore? Credimi, mi piacerebbe ascoltare la tua risposta. Io, come molti poeti del tango, vedo nell’amore solo un’illusione, destinata ad infrangersi, come altri sogni, altre illusioni. Mi viene in mente “Los mareados” (musica Juan Carlos Cobián, testo Enrique Domingo Cadícamo, 1942), dove il cantore evoca un ultimo incontro, un addio: “[…] Stasera amica mia, l’alcol ci ha stordito, che importa che ridano e che dicano che traballiamo. Ognuno ha le sue pene, così come noi. Stanotte berremo perché non torneremo a vederci più … Ora stai per entrare nel mio passato, nel passato della mia vita … La mia anima ferita porta tre cose: amore … rimpian
to … dolore … Oggi entrerai nel mio passato e oggi prenderemo nuove strade … Quanto è stato grande il nostro amore! … Eppure, ahimè! guarda cosa è rimasto […]”.
“Ora stai per entrare nel mio passato”. Un presente “ora”, una proiezione verso il vuoto futuro “stai per entrare”, e poi… il passato. Un cerchio che si chiude, un tempo circolare come quello delle stagioni, che nella consapevolezza della fine lasciano la speranza di un nuovo inizio. E dell’Amore cosa resta? Nella visione di Cadícamo la vita stessa è una illusione, il mondo è un mondo di ombre avvolte da una tenue nebbiolina grigia. Cosa può restare di un’ombra? Eppure mi chiedo se questa coscienza stessa non dia una tinta ancora più accesa alle emozioni che viviamo.
Vorrei poterti guardare in silenzio e leggere nel tuo stesso sguardo. E se tu fossi la compagna d’una sera, come è accaduto a volte, con un cenno t’inviterei a ballare, e forse, forse potrei cogliere la tua risposta. Forse potrei persino sentire che si stabilisce un contatto tra noi, intimo, profondo. E magari illudermi che sia per sempre.
“[…] Che dolce illusione è il Tango! Sentire per un attimo, che ti affidi a me, e cammini congiunta nel mio abbraccio. Come se fosse per sempre […]”. (Andrea Sardi, da “Quest’anima” tratta da “Dieci passi di Tango”).